Regia Patricio GuzmánSceneggiatura Patricio GuzmánProduzione Jacques Bidou-Marianne DumoulinMusiche Jorge ArriagadaFotografia Patricio Guzmán-Julia MunozMontaggio Claudio MartínezDirettore di produzione Andrea Guzmán
“Ricordo l’undici settembre, 1973, un giorno tetro in cui l’America istigò un colpo di stato per rovesciare la rivoluzione pacifica e democratica che era stata costruita nel mio lontano paese, il Cile, attraverso l’eliminazione del suo Presidente della Repubblica, Salvador Allende, quel figlio di puttana , come Richard Nixon amava chiamarlo. Non dimenticherò mai la brutalità della dittatura che allora fu messa al potere per più di diciassette anni di sofferenza, morte, esilio e di soppressione della memoria.I colpevoli lo sono così chiaramente che hanno finito per accusare le vittime, come se tutto fosse stato soltanto l’incubo di un sognatore chiamato Salvador Allende. L’urgenza di ritornare a quest’uomo atipico, rivoluzionario e fanatico della democrazia fino al punto di suicidarsi, mi si è imposta per ovvie ragioni, ma anche per la sua crudele attualità.” (Patricio Guzman) Il documentario Salvador Allende ripercorre la vita del presidente cileno dall’infanzia a Valparaíso fino al suicidio seguito al colpo di stato dell’undici settembre 73, avvalendosi di documenti d’archivio, album fotografici e interviste. Allende, medico, umanista, marxista atipico e cofondatore del partito socialista, divenne deputato ad appena 28 anni. Della sua vita il regista ci dice che fu una sorta di lunga campagna elettorale, trascorsa attraversando il paese da un capo all’altro, col solo scopo di ascoltare le esigenze della gente, di discutere con essa e di convincerla. Dopo vent’anni di campagna e quattro candidature, Allende venne finalmente eletto Presidente della Repubblica il 5 settembre 1970, come candidato di Unidad Popular, e si apprestò a dedicarsi anima e corpo alla trasformazione del Cile, ispirandosi a principi socialisti, ma soprattutto ad un rispetto puntuale della democrazia e delle sue istituzioni.Tuttavia la vittoria fu ottenuta per poche migliaia di voti, e, poichè non c’era una maggioranza assoluta, la scelta del candidato spettò al congresso.Gli Stati Uniti si mostrarono subito molto ostili ad Allende, e quando la democrazia cristiana si schierò con lui, fecero ricorso al loro piano di riserva. Il progetto era di sequestrare il comandante in capo dell’esercito, René Shneider, simpatizzante degli americani ma contrario all’intervento militare in politica. L’agguato però non riuscì: il generale cercò di difendersi e venne ucciso; in questo modo il complotto finì per sortire un effetto opposto a quello desiderato e Allende venne eletto dal congresso alla massima carica della repubblica.Improvvisamente l’attenzione di tutto il mondo si concentrò sul Cile, perché per la prima volta un marxista si trovava a guidare una nazione del blocco occidentale senza aver fatto ricorso ad un’insurrezione armata. Legioni di giornalisti, analisti politici e semplici militanti socialisti si precipitarono a Santiago per studiare l’esperimento di Allende, ostinatamente impegnato a creare una via pacifica e istituzionale al socialismo. Persino Che Guevara scrisse, dedicandogli una copia di La guerra di guerriglia: “Caro Allende, tu con altri mezzi cerchi di ottenere la stessa cosa”. In molti credettero al sogno del presidente, persino negli Stati Uniti, dove fu preso talmente sul serio che, solo dieci giorni dopo le elezioni cilene, Richard Nixon tenne una riunione con il direttore della CIA. Un documento divulgato nel 98 dall’amministrazione Clinton ha confermato l’autenticità degli appunti che seguono.Durante quella riunione Nixon disse: “Liberiamo il Cile da quel figlio di puttana! Vale la pena di provarci; noi non saremo impegnati direttamente; […] dieci milioni di dollari a disposizione e anche di più se necessario; impiego a tempo pieno per i nostri agenti migliori, una strategia: strozzare l’economia”.Una volta al potere il presidente cileno non ricorse mai all’autoritarismo, come avevano fatto la maggior parte dei suoi colleghi, né abbandò la propria etica umanista, ed è forse proprio per questo che la sua “rivoluzione” sembrò così facile da soffocare nel sangue. Egli fu sempre un democratico, anche di fronte alle crisi di governo più gravi, o alle attività terroristiche della destra, o alle evidenti intromissioni straniere, ma non è certo qualcosa che gli si può ascrivere come una colpa, nonostante ciò che vorrebbero i suoi detrattori.Infatti, dopo un primo, esaltante anno in cui il presidente si dedicò alla riforma agraria e alla realizzazione del proprio programma, il paese fu travolto dalla crisi economica, dagli scioperi indetti dagli imprenditori e sostenuti dalla CIA e dal panico delle classi medie, la cui opposizione si fece durissima. La situazione inoltre era aggravata dalle divisioni interne alla stessa sinistra, che resero impossibile l’organizzazione di una difesa compatta. Neanche tre anni dopo le elezioni, il 29 giugno, il colonnello Souper guidò il primo tentativo di golpe, che fallì. Allende era ancora difeso da una parte dei generali, tra cui Augusto Pinochet, al quale lo stesso presidente aveva dato le “stelle” di comandante in capo dell’esercito.Ma la pace durò solo il tempo che serviva agli alti gradi della Marina e dell’Aviazione per preparare un altro golpe, quello definitivo. Venne chiesto a Pinochet da che parte voleva stare, e il generale, dopo vari tentennamenti, salì sul carro del vincitore. Sembra che quel fatidico 11 settembre, non riuscendo a contattare Pinochet, Allende abbia detto: “Avranno già arrestato Augusto”.Che l’anedotto sia vero o meno, si addice alla figura del presidente cileno, di cui, nel documentario, si dice che era un “cavaliere”, un gentiluomo convinto che i suoi avversari, per quanto feroci, combattessero, al pari di lui, con lealtà.Poi arrivò il dolore della consapevolezza, e, infine, la lucidità: Allende si tolse la vita con il fucile che gli era stato regalato da Fidel Castro. Per Guzman:“Il suo sucidio non fu disperato, né romantico, fu un atto realista che ci mostra che la politica non deve inchinarsi di fronte all’impossibile.”Anche secondo Tomas Mouliàn, noto sociologo, il suicidio del presidente fu un preciso gesto politico. Con esso Allende macchiò del proprio sangue le mani del futuro dittatore, segnando il suo destino. Ma Pinochet non se ne rese conto, commettendo l’errore di temere il presidente più da vivo che da morto.Per Moulián infatti: “Salvador Allende ha perduto la prima battaglia per un nuovo socialismo. Ma è un modello che non ha perso la sua forza. Rimane il simbolo di una lotta da riprendere per il socialismo di domani.” A questo proposito il regista ha detto parole ancora più accorate:“Salvador Allende ha segnato la mia vita. Non sarei ciò che sono se egli non avesse incarnato quell’utopia di un mondo più giusto e più libero, che percorse il mio paese durante quegli anni.”